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La distruzione di Siponto

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Molte vicende travagliarono in seguito Siponto: concupiscenze di eserciti vaganti alla ventura per le regioni meridionali e perfidi sconvolgimenti della natura, generarono momenti caotici e dolorosi, le cui notizie, se ci pervennero in gran parte confuse ed incerte, di un fatto solo offrirono contezza: che cioè l'antica, fulgida e portentosa autonomia della città languì miseramente, malgrado le strenue difese dei sipontini che sempre si mostrarono accesi del più ammirevole e sacro amor di patria.

Prima gli Slavi, poi i Saraceni e i Normanni si contesero per molto tempo il suolo di Siponto, spinti dalla cupidigia del prepotere e talvolta dal miraggio della ricchezza e della floridezza della città, forte di pingue messi e di una laguna doviziosa e redditizia.

Si era nell'anno 1220, quando il 22 novembre, Federico II venne in Italia per farsi incoronare imperatore dal papa Onorio III.

In quell’occasione, giunse anche a Siponto, restandone vivamente ammirato, e vi ritornò il 23 giugno 1222 quando si imbarcò per recarsi a sposare Jolanda.

Ma per Siponto l'ora fatale della distruzione era pressochè suonata! La forte città che aveva resistito a tante eroiche vicende, doveva ruinare e soggiacere al suo proprio destino.

Essa era scampata dal pericolo dei terremoti oscillatori del 990, del 991, del 1012 e del Natale del 1022.
Agl’idi di marzo del 1223 una fremebonda e terribile scossa con moti vibratori, l'appianò al suolo, sprofondandola, tutt’intera, sotterra.

Le ville restarono distrutte, ovunque imperò la rovina e la morte! Il triste annunzio giunse a Federico II, il quale si mosse, venne a Siponto, ma non potendo in alcun modo alleviare l'immensità della catastrofe, si allontanò triste e desolato, lasciando il famoso distico:

"Ad cantum promptum subsaltat molle sipontum,
Cernite quassantum hoc quam plurat iurbine stratum."

Passarono così trentaquattro anni.
Il giorno 26 gennaio 1256, Re Manfredi dava ordine di edificare Manfredonia e ne indicava personalmente l'ubicazione. La vetusta Siponto, dai ruderi informi del suo destino, cantava ancora il suo glorioso e rinnovellato Resurrexit.