- Visite ed Orari - Raggiungi il posto - Download - Cerca nel sito - I Ricostruttori -

Il Portale di San Leonardo a Siponto

PDF Stampa E-mail

il portale del lato nord

Non è possibile esaminare i magnifici apparati scultorei che nella seconda metà del XII secolo si moltiplicarono intorno ai portali e ai finestroni delle chiese pugliesi, prescindendo dal ruolo significante che essi rivestono; la scultura medievale svolge una programmazione azione didattica, intimamente congiunta ai puri valori formali e squisitamente ornamentali che sembrano, soltanto sembrano, giustificarne in prima istanza la presenza.

In realtà le immagini, accuratamente selezionate da una committenza colta ed avveduta all'interno dei diffusi e talvolta ripetitivi repertori dei cantieri, si compongono ogni volta in originali contesti, la cui decodificazione va spesso affidata all'analisi sia del luogo che del tempo che hanno prodotto la selezione e l'elaborazione dei temi.

La chiesa di San Leonardo non fa eccezione; anzi, la sua posizione privilegiata ne fa un medium altrettanto privilegiato per un tema di singolare pregnanza, che si presta ad una duplice lettura, ad un tempo religiosa e politica.

Ai piedi del Gargano, Siponto era interessata sia dalla via che scendeva dalla montagna sacra e dal celebre santuario di San Michele, sia da una deviazione della via Appia Traiana, che la poneva in collegamento con Troia, città che la grande strada tagliava di netto, giungendovi da Benevento e proseguendo poi per Canosa, Ruvo e Bitonto, sia dalla complanare costiera che, toccando tutti i centri del litorale di terra di Bari, si ricollegava a Bitonto con la Traiana, che proseguiva per Brindisi, dove terminava.

Dell'antica città di Siponto, romana e bizantina, distrutta da Guglielmo I nel 1155, squassata e spopolata in seguito dai terremoti sopravvivono, ormai isolati e sperduti nella campagna, la cattedrale di Santa Maria ed il complesso di San Leonardo, la cui esistenza, protetta prima dai signori, poi dai sovrani normanni, è documentata dai primi del XII secolo.

Alla chiesa ed al monastero, dedicati al Santo protettore dei prigionieri e degli schiavi-attitudine particolarmente preziosa in un'epoca dominata da perenni conflitti con gli infedeli- e affidati ai Canonici Regolari di Sant’Agostino, con Casa madre nel San Leonardo di Limoges, era annesso un ospedale, destinato all'accoglienza dei pellegrini. Dal 1260 il complesso passò ai Cavalieri teutonici dell'Ospedale di Santa Maria di Gerusalemme, divenendone sede della Precettoria; dal 1484, quale beneficio concistoriale, fu concesso dalla Santa Sede ad abati commendatari; dal XVII secolo vi si insediarono i Minori Osservanti di San Francesco.

Sebbene ad ogni passaggio di mano, esso sia stato più volte restaurato e modificato, tuttavia, soprattutto nella chiesa, è chiaramente percepibile l'eco dei suoi gloriosi trascorsi, quando, nella seconda metà del XII secolo, sotto i grandi abati Riccardo e Pietro, godette del massimo splendore.

Strutturalmente, la chiesa di San Leonardo, nella sua impaginazione originaria, è una variante dello schema pugliese «a cupole in asse», a tre navate, con navate minori coperte a mezzabotte e cupole allineate su quella centrale: due cupole differenti si impostano ad est e ad ovest, cinte dall'esterno da tiburi ottagonali; tra l'una e l'altra, in luogo della terza cupola, insiste una volta a sesto rialzato, ricadente, a nord, su due magnifici pilastri polistili che fiancheggiano, all'interno l’accesso alla chiesa. Di questa è stata evidenziata l'unitaria impostazione dell'insieme parziale volta - pilastri - cupola occidentale - decorazione del prospetto nord - portale nord.

Un ulteriore dettaglio sembra ribadirne la simultaneità della realizzazione ed è il foro gnomonico, aperto nella volta a botte, che lascia passare un raggio di sole a mezzogiorno del solstizio d'estate raggio che illumina, sul pavimento, il centro dell'interspazio tra i due pilastri, davanti all'ingresso monumentale, con il quale, come, in seguito, viene così a trovarsi in seducente coerenza tematica.

Il portale più sontuoso, che non privilegia, come di consueto, la facciata d'occidente, ma il lungo lato nord, parallelo alla strada ed immediatamente visibile ai viandanti che percorrevano la via peregrinorum si imponeva alla loro attenzione non solo per la splendida fattura, che lo accomuna alla migliore produzione scultorea abruzzese e pugliese e lo pone in relazione con la scultura francese aquitanica e borgognona, ma perché, ammirandolo, essi vi scoprivano, con reverenza e timore, la sua intima essenza, il suo non oscuro, per loro, significato: il maestoso portale, attingendo dalle sacre Scritture il suo programma iconologico, è un disteso cantico alla divina gloria regale del Cristo e, con sussurrata azione di propaganda, particolarmente efficace in un luogo fortemente trafficato e alle soglie della Puglia marittima, a quella terrena, e dal Cristo stesso favorita, dei sovrani normanni.

Gli ultimi decenni del XII secolo, ai quali le sculture di San Leonardo si ascrivono, corrispondono, su un piano cronologico, al maturo periodo di regno di Guglielmo II e, su un piano ideologico, alla fase piena e pacificata della monarchia normanna, inaugurata nella notte di Natale del 1130 con l'incoronazione di Ruggero II (1095-1154) nella cattedrale di Palermo, «atto finale di un disegno concepito e calcolato contro l'opposizione di tutti, contro ogni tradizione, risultato di determinazione e volontà imperiosa», su nient'altro fondandosi che sulle remote memorie del regno antico dei tiranni, i re greci di Siracusa, del quale il nuovo monarca si poneva come restauratore, non per consenso dei vassalli, ma per benevola volontà del Redentore.

Celebratore della regalità normanna, della sua sacralità in quanto direttamente pervenuta ed esclusivamente concessa da Dio, è il cronista ufficiale di corte, l'abate Alessandro di Telese che, nel suo De rebus gestis Rogerii, fornisce la giustificazione teorica dell'esistenza del nuovo Regno, che trae da Dio la propria legittimità e necessità ed il cui sovrano, strumento della provvidenza divina, assicura la giustizia e la pace e punisce i malfattori e gli spergiuri con la terribilità della vendetta divina.

L’affermazione della diretta origine del potere regale normanno da Dio, della conseguente posizione autocratica del re nei confronti dell’Impero Bizantino e del Papato, sono temi ricorrenti nella produzione artistica ruggeriana, così nel mosaico della Martorana a Palermo, che raffigura Cristo che incorona Ruggero II, così nella variante barese che, nella formella a smalto, genius loci, nell'atto di incoronare il re.

L’assimilazione alla divina facoltà di punire terribilmente e di perdonare con misericordia ricorre nelle sculture della «Porta dei leoni» della Basilica nicolaiana; la celebre duplice cavalcata ed i plinti d'imposta narrano la distruzione della ribelle città di Bari effettuata da Guglielmo I (1120-1166) nel 1156 ed il successivo clemente richiamo degli esuli dispersi con una letterale citazione da Isaia, laddove il profeta prevede dapprima la distruzione di Gerusalemme, assalita dai cavalieri assiri, quindi la pietosa riconciliazione di Dio col suo popolo, pari alla cura che un potatore ha della sua vigna ed un mietitore pone nel raccogliere le spighe.

Con Guglielmo II (1152-1189) il processo iconografico ha un ulteriore sviluppo, passando alla glorificazione celeste del re, alla esaltazione della maestà regia; nel mosaico nel coro del duomo di Monreale, Cristo incorona il sovrano e proclama che la propria mano gli sarà di aiuto; due angeli recano in volo le insegne regali, il globo e il labaro; conformemente, le carte della Cancelleria regia grondano definizioni altisonanti della dignità regia, della regia celsitudo, della regia magnificenza del potere e, quando alludono al Cristo, lo definiscono «rex regum omnium et dominantium dominator»; proteggere le chiese, favorirle e far si che non subiscano detrimento altro non è che onorare in esse colui che ne è il capo e grazie al quale i re regnano: regalità magnificata e parificata a quella del Signore dal privilegiato rapporto di onore scambievole.

In perfetta consonanza con l'aulica ideologia del potere regio secondo Guglielmo II, trionfante evoluzione delle precedenti, che ne costituiscono il fondamento, si pone, con le sue mirabili sculture, il portale di San Leonardo, definibile, come si è accennato, l'apoteosi di Cristo Re, un perenne omaggio alla divina regalità di Cristo e, di rimando, alla regale maestà normanna, che da quella proviene.

Il portale si compone di una ricca fascia plurima, arcuata intorno ad una lunetta istoriata, da architrave e stipiti finemente ornati, corredati di lunghi capitelli, istoriati anch'essi, di collegamento alle colonnette angolari, infine da un protiro di proporzioni insolitamente vaste, sostenuto da leoni stilofori e grifi; l'ampio spazio lunato, che lo separa dal portale, accoglie alcune figure ad altorilievo, una delle quali mancante. Ognuna delle parti componenti, oltre che dal punto di vista formale, è in armonico rapporto dialettico con tutte le altre, nonostante la possibile, non assoluta contemporaneità d'esecuzione.

La scelta dei temi proposti nei capitelli figurati, e che sostituiscono l'elemento caratterizzante del portale di Siponto, seleziona gli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, nei quali il Cristo è, preannunciato re, tremendo trionfatore, a sinistra, guida benevola, a destra; di qui la successione degli episodi: la profezia di Balaam, la sconfitta del dragone, il sogno di Giuseppe e l'adorazione dei magi. Chiave indispensabile per coglierne il nesso è la lettura dei corrispondenti brani biblici.

La lunga storia dell'indovino Balaam occupa i capitoli 22-24 libro dei Numeri: allertato dalla costante avanzata degli Israeliti, il re moabita Balak chiede l’intervento di Balaam affinchè maledica l'accampamento di Israele; durante il viaggio, un angelo del Signore, munito di spada, sbarra il cammino a Balaam, che cavalca un'asina, e gli ingiunge di pronunciare su Israele soltanto ciò che gli avrebbe suggerito; per questo l'angelo scolpito reca un lungo cartiglio, facendo di Balaam, per l'occasione, un profeta del Signore, ed ecco quello che alla fine delle sue allocuzioni, durante le quali il popolo di Israele, verrà per tre volte benedetto anziché maledetto, Balaam, «uomo dallo sguardo penetrante», proclama: «Vedo quel che accadrà, ma non in questi giorni; scorgo un avvenimento, ma avverrà più tardi: ecco, compare un astro tra i discendenti di Giacobbe, sorge un sovrano in mezzo al popolo di Israele: con lo scettro colpisce alla tempia i Moabiti, spacca il cranio a tutti i discendenti di Set. Sconfigge i suoi nemici Edomiti e occupa Seir, il loro territorio; così il popolo di Israele trionfa. Il discendente di Giacobbe è vittorioso e stermina gli ultimi abitanti delle città » (Nm 24, 17-19).

Sul fronte interno del capitello, nell'invaso del portale, con indosso gli abiti ricamati di un dignitario di corte, l'arcangelo Michele è raffigurato in atto di trafiggere il drago che si contorce ai suoi piedi. Una volta tanto, in Capitanata, la presenza dell'arcangelo, incasellata nella sequenza delle figure del portale, non è da porsi in stretta relazione col culto che gli si tributa sul Gargano. La lotta di Michele col drago è magistralmente descritta nel XII capitolo dell'Apocalisse, quando spentasi l'eco della settima tromba, compaiono in cielo segni grandiosi, una donna vestita di sole, incoronata di dodici stelle e con la luna sotto i suoi piedi e un enorme drago rosso che le si pone di fronte pronto a divorare il bambino che la donna sta per partorire: «La donna dette alla luce un maschio: egli dovrà governare tutte le nazioni con bastone di ferro... Poi scoppiò una guerra in cielo; da una parte Michele i suoi angeli, dall'altra il drago e i suoi angeli. Ma questi furono sconfitti e non ci fu più posto per loro in cielo, e il drago fu scaraventato fuori. Il grande drago, cioè il serpente antico, che si chiama Diavolo e Satana, ed è il seduttore del mondo, fu gettato sulla terra, e anche i suoi angeli furono gettati giù. Udii allora una voce forte che gridava nel cielo: «Ora è il tempo della salvezza, ora il regno del nostro Dio viene con forza e il Suo Cristo prende il potere perché è stato sconfitto l'Accusatore» » (Ap 12,5,7-10).

Sul fronte opposto, San Giuseppe sogna, la guancia nella mano, sorprendentemente ignaro della scena straordinaria che si svolge alla sua sinistra; in realtà si tratta di due episodi distinti. I sogni di Giuseppe hanno avuto un ruolo fondamentale nelle vicende dell'Infanzia di Gesù: in sogno un angelo lo informa della natura divina della maternità di Maria, lo induce alla fuga da Betlemme in Egitto, lo avverte quando è tempo di tornare in patria, gli consiglia di fermarsi a Nazaret Mt 2,13, 19-23).

Ma il sogno in sintonia col nostro portale è il primo, l'unico di cui conosciamo le parole pronunciate dal messaggero celeste; il trait d'union con le altre immagini è l'appellativo con cui l'angelo si rivolge al padre putativo di Gesù, rimarcandone la stirpe regale: «Ci stava ancora pensando quando una notte in sogno gli apparve un angelo del Signore che gli disse: “Giuseppe, discendente di Davide, non devi aver paura di sposare Maria, la tua fidanzata: il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo. Maria partorirà un figlio e tu gli metterai nome Gesù, perché lui salverà il suo popolo da tutti i peccati" » (Mt 1, 20-21).

Quella che segue è una delle più belle raffigurazioni del tema dei potenti della terra chini davanti al re dei re; la Madre è assisa su un trono, come si addice ad una regina; porge il Figlio di dimensioni autorevoli all'adorazione dei magi; la positura della Vergine e dei magi offerenti ricalca il mosaico nel coro del duomo di Monreale, in cui il re offre la chiesa alla Vergine; una stella raggia sul gruppo, in risposta alla profezia di Balaam. L’episodio evangelico, narrato da Matteo, è notissimo, ma è bene rileggerlo: «Dopo la sua nascita, arrivarono a Gerusalemme alcuni uomini sapienti che venivano dall'oriente e domandarono: "Dove si trova quel bambino, nato da poco, il re dei Giudei? In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo". Allarmato, il re Erode convoca i capi dei sacerdoti e i maestri della legge, per chiedere loro dove sarebbe nato il Messia ed essi citano da Michea e Samuele: "Tu Betlemme, del paese di Giudea, non sei certo la meno importante tra le città della Giudea perché da te uscirà un capo che guiderà il mio popolo, Israele (Mic 5,1 e 2 Sam  5,2)» (Mt 2,1-2, 6). Istruiti da Erode, i magi ripartono ed ecco che «in viaggio apparve ancora a quei sapienti la stella che avevano visto in oriente, ed essi furono pieni di grandissima gioia. La stella si muoveva davanti a loro fino a quando non arrivò sopra la casa dove si trovava il bambino. Là si fermò. Ed essi entrarono in quella casa e videro il bambino e qua madre, Maria. Si inginocchiarono e adorarono il bambino. Poi aprirono i bagagli e gli offrirono regali: oro, incenso e mirra» (Mt 2, 9-11).

La serie degli episodi prescelti costituisce la necessaria premessa alla trionfante epifania della lunetta, entro la quale, racchiuso in una mandorla di luce sorretta dagli angeli, campeggia il Cristo in Maestà, recante il libro aperto, seduto sull'arcobaleno, circondato dai quattro Esseri Viventi, secondo la visione dell'apostolo Giovanni nell'Apocalisse: «C'era un trono nel cielo, e sul trono sedeva uno dall’aspetto splendente, come pietre preziose, diaspro e cornalina. Il trono era circondato da un arcobaleno luminoso, come lo smeraldo ... Ai quattro lati del trono, stavano quattro esseri viventi ... Il primo somigliava a un leone, il secondo a un torello, il terzo aveva viso d'uomo, il quarto somigliava a un'aquila in volo... Continuamente, giorno e notte, ripetevano: Santo, Santo è il Signore, il Dio dominatore universale» (Ap 4,2-3,6-7,8).

E’ facile scoprire, fra le definizioni altissime che il Libro contiene, quelle che possono aver fornito al dotto abate che ha dettato il programma più di uno spunto illuminate nella scelta del soggetto, in perfetta aderenza dell'ideologia di corte: «Gesù Cristo, il capo dei re della terra... ci ha fatto regnare con lui come sacerdoti al servizio di Dio suo Padre. A lui sia la gloria e la potenza per sempre» (Ap 1,5-6); «ai vincitori, - Cristo proclama - a quelli che fanno la mia volontà fino alla fine io darò autorità sopra le nazioni, come io stesso l'ho ricevuta da Padre mio. Essi le governeranno con un bastone di ferro, le faranno a pezzi, come stoviglie di terracotta. E darò loro anche la stella del mattino» (Ap 2,26-28), ed infine: «Io, Gesù, sono il germoglio e la discendenza di Davide, la splendida stella del mattino» (Ap 22,16).

Ad un lungo viticcio sinuoso, che percorre come in una pagina miniata l'archivolto e gli stipiti, è ancora una volta affidato un duplice ruolo, squisitamente ornamentale ed insieme di complemento al programma didascalico; se l'arcobaleno è il segno dell’alleanza che Dio stabilì con l'umanità dopo il diluvio, promettendo di non lasciare che gli eventi naturali si volgessero contro di essa, l'elegante tralcio abitato - una costante, pur tra infinite varianti, in affini composizioni - è la sigla perfetta dell'universo nel suo perpetuo divenire, santificato, però, e redento dall'avvento del Cristo.

Negli stipiti, uomini e fiere, immagini di repertorio talvolta duplicate, cui forse è superfluo volere assolutamente assegnare un valore simbolico individuale, si intrecciano in armoniosi viluppi alle volute; questa traggono origine, come di consueto, da un principio vitale o vivente, spesso costituito da un cantaro d'acqua o dalla gola di una fiera; a Siponto, la scelta cade su motivi di natura cristologica, graficamente composti intorno alle lettere greche dell'Alfa e dell'Omega, eco puntuale delle parole di Dio dal suo trono, pronunciate all'apparizione del nuovo cielo, della nuova terra, della nuova Gerusalemme, garantiti tutti dalla sua inflessibile giustizia (Ap 21,1-2, 5-8, 22,12): «Ora faccio nuova ogni cosa. Io sono l'Inizio e la Fine, il Primo e l'Ultimo».

Alla base dello stipite di destra, l'alfa, maiuscola, è data da un leone a due corpi, con funzione di sputaracemi, tratteggiato su modelli islamici, riscontrabili sul soffitto della Cappella Palatina di Palermo. E’ancora l'Apocalisse ad indicare nel leone un simbolo di Cristo:« Colui che si chiama Leone della tribù di Giuda e Germoglio di Davide ha vinto la sua battaglia» (Ap 5,5).

Alla base dello stipite di sinistra l'omega, minuscola, è data da una scena complessa; il tralcio fuoriesce dalla gola di un drago su cui si avventa un uomo armato di spada. Si tratta in chiave cristica di una saga nordica, Sigfrid che uccide il drago Fafner, con la stessa valenza del tema biblico di Sansone che uccide il Leone, laddove Sigfrid e Sansone sono figure del Cristo vincitore della morte .

Nell'arco della centina, come si è detto, il tralcio abitato completa e commenta l'immagine centrale: il toro di San Luca, l'uomo di San Matteo, l'aquila di San Giovanni - unica a recare il nome dell'evangelista corrispondente, per qualificarla senza ombra di dubbio, essendo stato lo stesso modello utilizzato nella decorazione degli stipiti – e il leone di San Marco si attengono alla coreografia apocalittica, manifestando, però, ciascuno col suo cartiglio o col libro, la propria funzione di simboli dei quattro vangeli, secondo l'interpretazione che ne diede sant'Ireneo fin dal II secolo; inoltre due centauri, un maschio e una femmina, in atto di suonare un corno ed un'arpa, traducono in sintesi quello che altrove era stato minutamente descritto, i remoti, e misteriosi e mostruosi, popoli della terra, fino ai quali si estende la novella di Cristo:« Celebrate il Signore con l'arpa, con l'arpa e con voci armoniose; al suono della tromba e del corno acclamate davanti al re, il Signore... Egli viene a governare la terra: reggerà il mondo con giustizia e tratterà i popoli con equità» (Sal 98, 97).

Il protiro incornicia ed enfatizza il sottostante portale: «Alzate, porte, i vostri frontoni, alzatevi porte antiche: entra il re grande e glorioso! Chi è questo re grande e glorioso? E’ il Signore valoroso e forte, e il Signore che vince le guerre. E’ il Signore, Dio dell'Universo: è Lui il re: grande e glorioso!» (Sal 24 (23))».

Come spesso avviene nei protiri pugliesi, i leoni stilofori di sostegno al trionfale baldacchino sono rispettivamente alle prese con un rettile, del quale si individuano agilmente i resti, e con una figura umana; se nel portale della cattedrale di Trani e nei finestroni delle cattedrali di Bari e Bitonto, essa è distesa supina sotto il leone, nel caso di sipontino, invece, è delicatamente sostenuta nelle fauci della belva, ad una zampa della quale si afferra fiduciosa.

Di Cristo, "Leone della Tribù di Giuda", si è detto, e, come tale, il leone a sinistra atterra il suo naturale avversario, il diavolo in forma di drago o serpente; ma l'altra raffigurazione rammenta il fondamentale principio del Cristo risorto, che assicura a sua volta la resurrezione del credente. Lo spunto è offerto del Phisiologus, il bestiario medievale più famoso, che fornendo notizie vere o presunte sugli usi e costumi degli animali, vi trova significanti corrispondenze col Cristo. Del leone il libro racconta questa singolare consuetudine: al terzo giorno dalla nascita dei suoi cuccioli, apparentemente esanimi, questi vengono svegliati alla vita dal ruggito del padre. Di conseguenza leoni e leoncelli vengono spesso raffigurati insieme sulle facciate delle chiese; nel protiro della chiesetta di San Giacomo, a Trani, un leone regge delicatamente il cucciolo, il piccolo risorto, con le zanne; a Siponto il suo è posto e preso, con significato analogo, dall'uomo ignudo. La duplice vittoria di Cristo, sul peccato e sulla morte, è così pienamente rappresentata.

In cima alle colonne che sostengono il protiro, due grifi, anch'essi simboli cristologici e consueti frequentatori dei nostri portali, stringendo tra gli artigli un ariete - perfetto animale da sacrificio, secondo l’elenco che Mosè, nel Levitico, fornisce al suo popolo - puntano l’attenzione, ulteriore precipuo fattore del portale sipontino, pilotando il nostro sguardo, sulla scomparsa scultura centrale, che campiva la zona superiore del sottarco della cuspide.

Il ruolo fondamentale che essa doveva svolgere è sottolineato dall’atteggiamento delle due figure laterali: a destra, San Leonardo, il titolare della chiesa, in abito monacale, aureolato, fornito degli abituali attributi della catena e del libro, la segnala con l'indice puntato; dall’altro capo, una figura vestita di manto e lunga veste, senza ornamenti, senza aureola né attributo alcuno, la fissa con gesto di rispettosa constatazione.

Non ci sono di grande aiuto le descrizioni ottocentesche, né quella del Lenormant, che per primo pubblicò, nel 1883, una fotografia del portale, già lacunoso, attribuendo ad un terremoto la caduta e la dispersione della scultura principale, né quella del Bertaux.

Il Lenormant, scambiando per una Déesis la composizione, vi ipotizzò per altro impropriamente, una croce centrale; il Bertaux, ritenendo fosse un monaco anche il personaggio di sinistra, suppose di aver scoperto tra i reperti erratici, presenti nella chiesa al tempo della sua ispezione, la scultura mancante e credette di individuarla in un clipeo, con l'immagine di San Leonardo, di cui pubblicò la foto. Ma è evidente che, oltre ad essere tautologica la ripetizione del soggetto già raffigurato, l'opera ritratta è più tarda.

Tantomeno ci soccorre quello che, nel 1960, scriveva Silvestro Mastrobuoni, sulla scorta di una Santa Visita settecentesca di un vescovo di Ascoli Satriano, documento non meglio citato, ma che è stato tuttavia possibile rintracciare. In quella sede l'autore segnalava la presenza di una Madonna col Bambino al centro vuoto della composizione, affiancata da San Leonardo e San Giacomo.

Il documento in questione è la Santa Visita di Mons. Giuseppe Campanile, vescovo di Ascoli Satriano e Ordona, datata 13 marzo 1741, conservato presso l'Archivio Diocesano di Ascoli Satriano; il presule descrive effettivamente il gruppo, ma raffigurato in un dipinto collocato sull'altare maggiore della chiesa; in quanto alla facciata di pietra, dichiara che essa manca della "S. Immagine" e della Croce. Se non che tutto questo riguarda non la chiesa di San Leonardo di Siponto, ma la chiesa di San Leonardo in Torre Alemanna, presso Cerignola.

Sulla nostra lacuna, dunque, il mistero permane e l'esame del contesto permette soltanto di avanzare delle ipotesi.

Va innanzitutto notato che le due sculture che fiancheggiano la lacuna centrale sono scolpite ad altorilievo tutt'uno con il concio verticale dal profilo irregolare col quale fanno corpo e che si inserisce nel tessuto della superficie muraria. La cavità lacunosa ancora evidenziata dalla foto precedente il restauro è prossima ad un irregolare rettangolo orizzontale; i denominatori comuni agli episodi raffigurati – l’esaltazione della regalità di Cristo ed una costante presenza angelica, palese o sottaciuta - suggeriscono come possibile la raffigurazione del momento cardine della vicenda terrena del Cristo, l'Incarnazione del Signore nel seno della Vergine, preannunciata con termini che esaltano la dignità regale del nascituro: «Avverrà che la giovane incinta darà alla luce un figlio e lo chiamerà Emmanuele (Dio con noi)... Il che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce. Ora essa ha illuminato il popolo che viveva nell'oscurità... E’ nato un bambino per noi! Ci è stato dato un figlio! Gli è stato messo sulle spalle il segno del potere regale... Governerà come successore di Davide. Il suo potere si fonderà sul diritto e sulla giustizia per sempre» (Is 7,14; 9,1,5-6).

Il formato e le dimensioni della lacuna si presterebbero ad accogliere una composizione in cui comparissero due figure, una stante o assisa, l'altra in ginocchio, un'Annunciazione: «Dio mandò l'angelo Gabriele a Nazaret, un villaggio della Galilea. L’angelo andò da una fanciulla che era fidanzata con un certo Giuseppe, discendente del re Davide. La fanciulla si chiamava Maria. L’angelo entrò in casa e le disse: "Ti saluto, Maria! Il Signore è con te: egli ti ha colmata di grazia... non temere, Maria! Tu hai trovato grazia presso Dio. Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù. Egli sarà grande e Dio, l’onnipotente, lo chiamerà suo Figlio. Il Signore lo farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà per sempre sul popolo di Israele. Il suo regno non finirà mai"» (Lc 1,26-33).

Va rilevato inoltre che, fra tutte le immagini superstiti proposte dal portale, sono fornite di aureola, un'aureola di foggia singolare e comune a tutte le figure ovunque siano collocate, soltanto il Cristo adulto, gli Angeli e San Leonardo; oltre ai magi, a Balaam e al misterioso personaggio che fronteggia il santo titolare, perfino la Vergine, il Bambino e San Giuseppe non hanno aureola; difficile credere che in età medievale si sia potuto procedere senza una ragione fondata ad una così inattesa formula discriminante, considerando che neppure ragioni di spazio interferiscono con la scelta in questione; è forse possibile però, rilevare un fattore comune: sono aureolate tutte le figure "celesti" presentate in azione come tali; non lo sono quelle che, nel momento raffigurato, agiscono come creature terrene.

L’assenza dell'aureola nell'enigmatico personaggio di sinistra, privo peraltro di qualsiasi elemento utile alla sua identificazione, varrebbe allora, quanto meno, ad indicarne la raffigurazione "in alto"; trovandosi in una posizione affine a quella di San Leonardo, avrebbe condiviso lui l'onore dell'aureola se fosse stato un santo e, se fosse San Giacomo, un bastone da pellegrino ed una conchiglia sarebbero ulteriori ed irrinunciabili attributi; un cartiglio lo avrebbe doverosamente connotato, se fosse stato un profeta.

Sappiamo dunque quello che non è e che, inoltre, è raffigurato in azione; di contro al Santo aureolato, e del quale evidentemente non condivide la natura celeste, si pone come una creatura di questa terra e, tenendo conto dei toni celebrativi con i quali il portale promuove l'esaltazione della regalità, forse possiamo riconoscere nell'arcana figura, che ripropone il gesto e la fisionomia di Guglielmo II nel mosaico, eseguito negli anni Ottanta, in cui Cristo lo incorona nel duomo Monreale, lo stesso sovrano normanno, protettore dell'abbazia, vestito con semplicità e modestia inaspettate, ma in consonanza con l’umile le grandezza della Vergine.

A meno che, altra possibile soluzione, non fosse assegnato proprio all'assente elemento centrale il compito di spiegare in qualche modo l'identità del nostro personaggio; pensiamo, ad esempio, ad una scultura effettivamente rappresentante una Vergine assisa con bambino, parimenti non discordante, in base a quanto si è detto, sul piano tematico; forse il Bimbo, o la Madre, volgendosi con grazia, protendeva verso il riguardante una corona, variante di un tema già svolto come si è visto, altrove.

All'interno della chiesa, uno solo dei due pilastri che fiancheggiano il portale ha un capitello istoriato; vi è raffigurato un uomo che uccide il maiale, consueta rappresentazione di dicembre - un noto esempio è nel ciclo dei mesi nel pavimento a mosaico della cattedrale di Otranto - dedicato alla nascita di Gesù, tempo sacro in cui le profezie messianiche si compiono.

Ma un'ultima sorpresa ha ancora da offrire lo straordinario portale di Siponto, nato con la porzione a botte della volta della chiesa, interessata dal foro gnomonico, espediente non insolito nelle chiese romaniche e gotiche; un fenomeno simile si può cogliere a Chartres, nonchè nel duomo di Milano, dove ad essere privilegiato è, invece, il solstizio d’inverno.

Entrambi i solstizi rivestono un'importanza capitale nel ciclo del tempo liturgico, intimamente legato a quello naturale, da cui trae impulso ed ispirazione.

Se il solstizio d'inverno, caro al culto solare mitraico, festa solenne del sole invitto e nascente, diventò la festa del Natale cristiano, il solstizio d’estate, il momento culminante dell'anno solare, quello in cui il sole raggiunge lo zenith, fu inteso come l'attimo supremo ed eterno che celebra il trionfo assoluto del sole e quindi di Cristo, sole di Giustizia.

Possiamo immaginare con intatta ammirazione: quando il fastoso portale che canta la gloria del re dei re, del sovrano dell'universo, si spalanca in quel giorno e in quel momento d'eccezione, ecco che, davanti agli occhi incantati della folla radunata sul vasto piazzale, rifulgeva nell'interno ombroso del tempio, inatteso e incredibile, un raggio di sole, concretizzando in un puro lampo di luce la presenza ineffabile dell'Emmanuele: «Dio con noi».

Dr.ssa  MARGHERITA PASQUALE

 

Galleria fotografica dei dettagli del portale