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Icona di Santa Maria di Siponto

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Icona della Madonna di SipontoL'icona della Vergine di Siponto, custodita definitivamente dal 1973 in una cappella laterale della chiesa cattedrale di Manfredonia, è "trascritta" su una grande tavola di cm. 129x81 su cui è stata attaccata della tela di lino con colla di coniglio o di pesce secondo una tecnica millenaria giunta fino a noi.

 

L’oro dello sfondo, attaccato con bolo armeno e levigato a specchio con pietra d'agata, suddiviso in un reticolo di riquadri romboidali concentrici che il Frinta ritiene caratteristici della produzione "crociata", elimina ogni sfondo e toglie la prospettiva che, come per ogni icona, viene rovesciata: è il segno della luce trasfigurante e trasfigurata della santa e gloriosa resurrezione del Signore che si irradia sul l'osservatore, su ciascuno di noi che si avvicina per contemplare e ammirare l'icona. I colori utilizzati per la realizzazione della sacra immagine sono pigmenti naturali provenienti dal mondo minerale, vegetale ed animale, usati dei resto anche per gli affreschi, attraverso una tecnica detta "tempera all'uovo" perché coi rosso dell'uovo si stemperano le polveri mescolandole con aceto che fa da mordente e la colorazione segue la tecnica detta "dell'illuminazione"; si passa cioè lentamente e gradualmente dai colori scuri a quelli chiari.

L’icona danneggiata da un incendio nel 1872 è stata, essendo assai cara al popolo di Manfredonia, restaurata segretamente, soltanto nel 1927, dal laboratorio di restauro del Vaticano, anche se sin dal 1896 il Consiglio comunale della città aveva deliberato di intervenire in tal senso. Nel 1964 l'icona ha subito un secondo restauro da parte dell'artista sipontino Aronne Del Vecchio.
Così essa è giunta a noi completamente e pesantemente ridipinta e perciò variata rispetto allo schema iconografico delle icone di area garganica, dagli studiosi riconducibili tutte al prototipo costituito dall'icona della Vergine di Andria, ora nell'episcopio di quella città.

La tradizione locale vuole che l'icona di Santa Maria di Siponto sia giunta in questa antica città - v'è nel presbiterio della cattedrale un grande affresco di Natale Penati che immortala questa tradizione - insieme al grande e santo vescovo della città Lorenzo Maiorano sul cadere del V secolo, anche se si hanno di essa testimonianze certe a far data da 1327 e se per alcuni studiosi viene identificata con quella icona di cui è traccia nei documenti dell'XI secolo del monastero di Tremiti, il cui abate inviò a Siponto un'icona della Madre di Dio; essa è perciò amata e venerata grandemente dai cittadini di Manfredonia in quanto testimone unica e preziosa della lunga storia della città e della antica fede dei padri.

La Madonna detta di Siponto prende il nome dall'antica Siponto, dove una fiorente comunità era presente fin dal tempo apostolico e dove per secoli le generazioni cristiane hanno nutrito e coltivato un grande amore verso la Madre d Dio, tanto che l'appellativo dell'origine ha acquistato nel corso dei secoli un significato proprio, personale, quasi titolo, della stessa icona "Madonna di Siponto". In contrasto con la figura del Figlio risplendente di bianco e con il mantello semi indossato di color rosso fuoco, la Madre di Dio si presenta con un'unica nota cromatica blu-notte, sulla quale attraverso l'impercettibile distacco della veste e della cuffia, chiara, fioriscono i colori caldi del volto: i bruni e gli ocra gialli della carnagione, il rosso chiaro che posato con leggerezza sulle gote e sulle palpebre accompagna la lunga linea del naso, quasi sottile colonna che sostiene gli archi delle sopracciglia, grandioso e geometrico disegno del tempio del Dio vivente e che si ferma con leggerezza sulla bocca seria e silenziosa.

Così la luce in forma di rivoli scorre e si spande nelle impercettibili pieghe del "maphorion" azzurro, colore che potrebbe rinvenire dall'intervento effettuato durante il primo restauro di cui si è detto sopra e sul quale si rileva una grande stella posta sulla spalla destra, segno della Semprevergine. Generalmente, è bene qui non sottacerlo, le icone della Madre di Dio presentano sull’"omophorion" tre stelle, in origine tre croci, una sulla testa e due sulle spalle, che stanno a ricordarci la perpetua verginità della "Theotòkos" - prima, durante e dopo il parto e l'inabitazione in Lei delle Divine Persone, Dio unico e benedetto. E' altresì doveroso ricordare che l'icona della Madre di Dio della cattedrale di Canosa di Puglia mostra anch'essa un'unica stella, originale e non ritoccata, sulla spalla destra della Vergine proprio come quella raffigurata nella nostra icona.

La Madonna di Siponto presenta una vera bellezza nascosta che richiama una grande percezione estetica, insomma siamo di fronte alla bellezza spirituale, e si presenta nel contempo a noi come "Hodeghitria" con la sua mano destra che indica e conduce a Cristo, il quale a sua volta si presenta splendente con la sua veste candida, veste del Vivente Risorto e veste di ogni battezzato; nella mano sinistra, a differenza delle altre icone pugliesi, Egli non regge il rotolo del libro, elemento fondamentale nella iconografia di Cristo. Si potrebbe ipotizzare la presenza di questo importante particolare prima della ridipintura ottocentesca oppure che Cristo non si presentasse con la sinistra posta nella maniera che contempliamo nell'icona oggigiorno, ma proprio come nell'icona "Madonna dell'Acqua" di Giovinazzo o della Vergine di Corsignano.

Il Cristo leva la destra nella nostra icona, quasi in procinto di benedire alla "greca" ma anche invitando al silenzio per ascoltare la Parola. Il suo "omophorion" è caduto dalle sue spalle ed Egli è scalzo, a significare la "Kénosis", l'abbassamento, l'umiliazione suprema e tremenda di Dio che si fa uomo, servo di tutti e muore per tutti per ricondurci al Padre.
Il pesante restauro subito dall'icona, di cui si è detto prima, ha cancellato le lettere iniziali MP-OV, Madre di Dio, che molti testimoni ricordano e che alcuni studiosi riportano, impercettibilmente incise sullo sfondo aureo ai lati del capo della Vergine, che come quello del Figlio è avvolto da un nimbo vistosamente rifatto.
La tavola, all'altezza di questi due nimbi, è stata incautamente forata per mettere a dimora due monili d'oro coronanti il capo delle due divine persone, in occasione della visita alla città, avvenuta il 28 agosto 1955, dell'allora patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, oggi beato.

Ai bordi della tavola iconica, quasi a mò di cornice, sono raffigurate quattro immagini di santi a figura intera, due per lato, il cui stato di conservazione è tale da non rendere possibile la loro identificazione; con probabilità trattasi dei santi patroni della nostra antichissima diocesi tra cui certamente San Giustino martire, San Lorenzo Maiorano Vescovo, San Michele Arcangelo e l'Apostolo Pietro.
Questa consuetudine di rappresentare figure più piccole, in specie all'inizio i santi apostoli e solo successivamente i santi patroni, a mò di cornice dell'immagine più grande o principale, molto diffusa nell'arte greca e medioevale, sottolinea il "carattere astratto - decorativo dell'icona che in Italia non riuscì ad affermarsi molto in quanto all'icona si sostituì il quadro realistico che ammetteva entro i limiti di una sola superficie la contrapposizione di figure di differente grandezza".

Dalla contemplazione di questa splendida icona sgorga quella luce interiore che solo il credente o l'innamorato di arte sacra può percepire e perciò riuscire a leggere con chiarezza fino a far vibrare l'ardente desiderio di una vita inesauribile, ad immagine della Vergine, nascosta in Cristo.

Tratto da: “La Diocesi di Maria” Vademecum dell’estate 2006