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Grotta Scaloria e Occhiopinto

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Nelle fasi finali del Neolitico, nella Grotta Scaloria ubicata nelle immediate vicinanze di Manfredonia, veniva praticato un culto delle acque, forse ricollegabile ai fenomeni di siccità che dovettero colpire il Tavoliere in quel periodo.

La parte bassa della grotta, infatti, era frequentata per scopi esclusivamente cultuali: il cerimoniale prevedeva la raccolta delle acque di stillicidio dalla volta in contenitori ceramici dipinti e in una vaschetta rettangolare scavata nella roccia, intorno alla quale si sono rinvenuti focolari ed ossa, a testimoniare pasti rituali o sacrifici li consumati. La prima segnalazione di questo importante complesso archeologico risale al 1931 quando, in occasione dei lavori dell'Acquedotto Pugliese, esso venne casualmente individuato, e, in tempi brevi, esplorato da Q.Quagliati.

Questa prima indagine si limitò all'ambiente superiore della grotta (detto 11 camerone Quagliati) ove si rinvenne un tipo di ceramica a bande rosse marginate, secondo lo stile per l'appunto chiamato della Scaloria Alta. Solo nel 1967 un gruppo di speleologi del C.A.I. di Trieste, nel corso dell'esplorazione della grotta, raggiunse la parte più bassa, collegata all'ambiente superiore da una galleria stretta, ove, ancora in sito, si ritrovano i vasi e le stalagmiti in essi concrezionate, poggianti su tronconi di stalattiti spezzati.

 Successivamente indagini, nel 1978 e 1979, interessarono l'ambiente superiore e l'accesso alla grotta, rivelando la frequentazione del vano dal Paleolitico sino al Neolitico Finale e un'importante sepoltura di più individui riferibile alla fasi finali del periodo.

I resti scheletrici, pertinenti a circa venticinque individui in prevalenza giovani donne, bambini ed anziani, di cui uno solo in possesso di corredo (consistente in due pregevoli denti di cinghiale decorati ad intaglio), sono riferibili ad una sepoltura collettiva.

Tale deposizione, insolita per il costume funerario dell'epoca, fu motivata probabilmente da un'epidemia, la cui causa si potrebbe ricercare nelle tracce di anemia mediterranea attestata dall'analisi degli scheletri e peraltro già documentata nel villaggio neolitico della villa comunale di Foggia.