Panoramica della chiesa

San Leonardo di Siponto

sito dell'abbazia dedicata al culto di San Leonardo, Manfredonia (FG)

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In questa pagina vogliamo raccogliere un insieme di dettagli meno conosciuti, relativi ad altri beni storici presenti sul territorio, e talvolta poco conosciuti anche dai residenti.

Il Museo Nazionale

Il Museo di Manfredonia venne istituito nel 1968 dopo che lo Stato ebbe in dono dal Comune quel Castello che Manfredi, nel 1250 circa, ebbe appena il tempo di ideare, avviandone la costruzione.
Il Museo ospita tutta la collezione archeologica della zona e narra, attraverso i suoi reperti, la ricca storia dell'antica laguna Sipontina.
Il Museo espone reperti rinvenuti presso l'antico fiume Candelaro, dimostrazione della presenza umana nella zona sin dall'età neolitica.
Di particolare interesse è la raccolta delle stele daunie, rappresentazione schematica della figura umana, provenienti in gran parte dalla zona della laguna.
Altre fonti inesauribili di ritrovamenti sono gli Ipogei della zona, dove troviamo materiale risalente all'età dei bronzo.
Nel basso Tavoliere, vi è testimonianza di una popolazione indigena che nel 1700 a.C. costruì numerosi Ipogei, edifici sotterranei adibiti a luoghi di culto.
La natura dei sottosuolo favoriva la realizzazione di queste strutture: la roccia calcarea era particolarmente tenera e quindi con l'aiuto di qualche rudimentale attrezzo era possibile effettuare gli scavi.
A volte gli ipogei venivano utilizzati come tombe, vi è traccia di una colossale sepoltura di circa 200 persone.

 

Le stele daune

Ma la vera attrazione del Museo di Manfredonia sono le famose stele daune. Esse rappresentano una delle più alte testimonianze della cultura protostorica italica.
La loro "scoperta" risale agli anni '60 e, non essendoci decorazioni nella parte inferiore delle lastre, si pensa che esse venissero infisse nel terreno e che fungessero da segnacolo funerario.

Si suppone che le stele, fatte di pietra calcarea ricavata dalle vicine cave garganiche, venissero lavorate localmente.
Di più difficile interpretazione, invece è l'origine delle immagini e i contenuti espressi.
Le stele sono di forma rettangolare, ricche di decorazioni geometriche e raffigurazioni di vita quotidiana, completate da una testa scolpita nella stessa pietra.

 

La Cappella della Maddalena

Questo ambiente venne alla luce casualmente nel 1895 a seguito dei lavori nell'abside della Chiesa di San Domenico, adiacente il Palazzo di Città, nel centro di Manfredonia.
Era a pianta quadrata a unico vano, con lato di m. 9,55 circa.
Antica abside della chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena, conserva al suo interno i pilastri con sezione a mandorla emergenti dagli spigoli, Da essi partono le nervature della volta a crociera che la coprivano originariamente.
Dall'esterno sono rimaste solo le mura perimetrali della navata e l'arcone trionfale del transetto originario, unico superstite degli altri tre. In epoca recente due muri, ortogonali tra loro, hanno diviso tale vano in tre locali intercomunicanti. Prima dei lavori in quest'ambiente si accedeva solo dalla parete del coro della chiesa San Domenico.
In questi tre vani la parete di destra offre ampie superfici d'intonaco affrescato.

Alquanto deteriorato (l'albero genealogico di Jesse, Madonna con Bambino e Santo, San Nicola e San Domenico con chiesa sulla mano destra), e presenta una deliziosa edicola gotica trilobata, ornata da due capitelli differenti decorati con motivi vegetali ed animali.
Nel suo interno è raffigurata la Vergine nell'atto della deposizione del corpo di Cristo in un'urna.
La pavimentazione esistente a quadrati chiaro e scuro in marmette, con bordura perimetrale in pietra, era illuminata da una feritoia ubicata nella volta. Un'altra feritoia era inserita nel vano rettangolare a ridosso della parete della chiesa.
La pavimentazione di questo vano era in pietra naturale. In questo piccolo ambiente, sulle murature postume in tufo, erano inseriti "casualmente" resti di cornici decorate e manufatti lapidei lavorati.
Sulla copertura erano appena visibili, negli angoli, i ricchi capitelli a foglie stilizzate e parte delle nervature degli archi ogivali.
Tratto da: Palazzo San Domenico "Cappella della Maddalena" marzo 2005

 

Grotta Scaloria e Occhiopinto

Nelle fasi finali del Neolitico, nella Grotta Scaloria ubicata nelle immediate vicinanze di Manfredonia, veniva praticato un culto delle acque, forse ricollegabile ai fenomeni di siccità che dovettero colpire il Tavoliere in quel periodo.
La parte bassa della grotta, infatti, era frequentata per scopi esclusivamente cultuali: il cerimoniale prevedeva la raccolta delle acque di stillicidio dalla volta in contenitori ceramici dipinti e in una vaschetta rettangolare scavata nella roccia, intorno alla quale si sono rinvenuti focolari ed ossa, a testimoniare pasti rituali o sacrifici li consumati.
La prima segnalazione di questo importante complesso archeologico risale al 1931 quando, in occasione dei lavori dell'Acquedotto Pugliese, esso venne casualmente individuato, e, in tempi brevi, esplorato da Q.Quagliati.

Questa prima indagine si limitò all'ambiente superiore della grotta (detto 11camerone Quagliati) ove si rinvenne un tipo di ceramica a bande rosse marginate, secondo lo stile per l'appunto chiamato della Scaloria Alta. Solo nel 1967 un gruppo di speleologi del C.A.I. di Trieste, nel corso dell'esplorazione della grotta, raggiunse la parte più bassa, collegata all'ambiente superiore da una galleria stretta, ove, ancora in sito, si ritrovano i vasi e le stalagmiti in essi concrezionate, poggianti su tronconi di stalattiti spezzati.
Successivamente indagini, nel 1978 e 1979, interessarono l'ambiente superiore e l'accesso alla grotta, rivelando la frequentazione del vano dal Paleolitico sino al Neolitico Finale e un'importante sepoltura di più individui riferibile alla fasi finali del periodo.
I resti scheletrici, pertinenti a circa venticinque individui in prevalenza giovani donne, bambini ed anziani, di cui uno solo in possesso di corredo (consistente in due pregevoli denti di cinghiale decorati ad intaglio), sono riferibili ad una sepoltura collettiva.
Tale deposizione, insolita per il costume funerario dell'epoca, fu motivata probabilmente da un'epidemia, la cui causa si potrebbe ricercare nelle tracce di anemia mediterranea attestata dall'analisi degli scheletri e peraltro già documentata nel villaggio neolitico della villa comunale di Foggia.


Il complesso carsico Occhiopinto - Scaloria

Michele De Filippo: Dal 1967 eravamo convinti, noi del Gruppo Speleologico «Michele Bellucci» di Manfredonia, che l'imponente complesso carsico Occhiopinto-Scaloria fosse una sola grotta e che quindi l’ingresso principale fosse da individuarsi in quello attuale di Occhiopinto.
Dopo un periodo di studi, iniziammo l'esplorazione sistematica nell'intento di fugare i molti dubbi e le molte riserve: nostra intenzione era dimostrare che trattavasi di una sola grotta.
La scoperta quindi non va considerata come caso fortuito: il passaggio dall'una all'altra grotta fu cercato per tre lunghi anni.
Poco più in là delle ultime case di Via Scaloria in Manfredonia, al bivio per San Giovanni Rotondo e la frazione Montagna, sorge una fabbrica di mattonelle.
Sul lato sinistro di questa, l'ingresso unico e monumentale della grotta Occhiopinto, risultante sulla carta dell'I.G.M. al Foglio 164 10 N-E, latitudine 41°31'20", longitudine 3°27'15", e, secondo i rilievi effettuati dal Gruppo Speleologico «Michele Bellucci» nel 1970, a quota m. 43 s.l.m. con una profondità massima di m. 43, sviluppo parziale di Occhiopinto 20,7 m., sv. prz. passaggio Davanzo 71,5, sv. p rz. Scaloria 343,5 m., sv. tot. 622 m.
L’aspetto circostante è tipico delle «Cozzolete»: pochi centimetri di terra, qua e là filari di fichidindia, un mare di asfodeli e solo sulla destra un piccolo appezzamento coltivato a grano. Si scendono pochi metri e sulla destra e sulla sinistra si osservano massi ricoperti da rifiuti e tracce di scavi. Una fenditura nella roccia alta 50 cm. e larga 10 m. immette in un vestibolo che si sviluppa a ventaglio. A m. 32,50 dall'ingresso, sempre a pochi metri di profondità, ci troviamo in un primo cavernone, lungo 20 m., largo 50 e alto m. 2,60. Una patina di fanghiglia rende sdrucciolevole il percorso. Sparsi un po’ ovunque ancora rifiuti. In più punti tracce di scavi abusivi. Più in là un blocco monolitico provoca un rialzo alla cui base una strettoia immette in una saletta.
Un passaggio di modestissime proporzioni, ripercorrendo il cammino a ritroso, riporta all'ingresso: lungo il percorso ammassi di conchiglie, lische di pesce, cocci e prodotti litici.

Tutto fa presupporre che sia stato l'ingresso principale o quanto meno un punto di sosta. Il piano di calpestio in molti punti è costituito da sfasciume, in altri da blocchi, fratture, frane.
Il tutto ci porta alla convinzione che trattavasi di due caverne sovrapposte di cui l'attuale era il piano rialzato.
Il cavernone consta perciò di due tratti sub-pianeggianti, sovrapposti e superficiali, di cui la parte inferiore si sviluppa lungo una serie di fratture orizzontali e verticali in direzione nord-sud. Oltre il blocco monolitico, l'allargamento è sempre più accentuato ed assume una pendenza che va dal 30 al 40 per cento.
La volta non supera mai i 40-50 cm. A m. 96,5 dall'ingresso e a quota 19 dal piano campagna, un corridoio posto in senso trasversale e in direzione S.O. - S. E., largo m. 16, lungo 45 e alto 2, dà la netta sensazione d'un cambiamento nel paesaggio e nella natura della grotta.
A destra guano e massi; a sinistra il corridoio s'interrompe a causa d'una frana.
Al Cavernone del Guano, lungo m. 55 e largo 45, si accede tramite un'apertura al centro del corridoio e da due altre laterali, anguste e di più difficile accesso.
Un dislivello di qualche metro forma un gradone. Su di una parete rocciosa sigle e firme di visitatori. Il Cavernose del Guano si sviluppa in direzione N. E.. La volta a botte è quasi perfetta e l'altezza massima è di 6-7 metri. Sul lato sinistro, dove quasi la volta tocca terra, formazioni stalattitiche e stalagmitiche. Il piano di calpestio è completamente ricoperto da una coltre di guano alta circa 20 cm..
Nella zona mediana, ove la volta è più alta, cumuli di guano alti 3-4 metri denotano i punti di sosta d'una colonia di pipistrelli.
Lungo la parete frontale, a 180 m. dall'ingresso ed a quota – 26, vari cunicoli e passaggi immettono in piccole caverne cieche. In questa zona, in direzione N.- N.O. e N.- N.E. ben sei vasi concrezionati.
Poco più in là, sulla sinistra, per una fitta formazione di stalattiti e stalagmiti, carponi, ci si immette in un passaggio di modestissime proporzioni, detto del «Vibrafono». Dopo circa 20 m., attraverso strettoie ed un pozzo profondo 10 m., un laghetto riempie il fondo di un'intera sala.
Ad Est oltre il lago, macigni ricoperti di guano e frane di vaste proporzioni interrompono l'eventuale proseguimento.
L'impossibilità di andare avanti costringe a ritornare sui propri passi.
A 25 m. dal «Vibrafono», sempre nel Cavernone del Guano, si nota un primo crepaccio e poco più a sud il ciglio di un secondo alla base del quale un corridoio, lungo 15 m. e alto dai 2 ai 3 m., porta ad una biforcazione.
Il lato destro, seguendo un percorso accidentato, si riaffaccia sul laghetto. Il lato sinistro, dopo 7 metri, sfocia nel cavernone da noi chiamato «Vianello», le cui dimensioni sono di 15 m. di lunghezza, 8 di larghezza e 3 di altezza. Siamo a quota - 43 dal piano campagna. In tutta questa zona la volta è ornata da formazioni stalattitiche, stalagmitiche e da gruppi colonnari. Un bellissimo vaso concrezionato è incastonato alla base d'una di queste concrezioni alta 2 m.
Sparsi tutt'intorno altri vasi ormai in cocci. Nella parte terminale di questo Cavernone, verso S.E., due crepacci.
Nel primo dei quali è stata rinvenuta un'ascia levigata e di ottima fattura.
Una strettoia, in fondo al lato sinistro, larga 50 cm. e lunga 30 m., seguendo un percorso accidentato e tortuoso sfocia alla base d'un crepaccio alto 3 m. e largo 2, scavalcato il quale, ci si immette in un nuovo passaggio largo 50 m. e alto 30 cm.
Questa cavità è adorna di belle concrezioni, di vari vasi, di cui alcuni conerezionati e altri a bande rosse.
Da sottolineare uno di bellissima fattura a tre manici.
L’abbassamento tettonico, in questo tratto, è molto accentuato.
Un passaggio che si interna verso ovest conduce ad una successione di piccole caverne. La volta è ancora molto bassa (cm. 40) così come lo sarà per tutto il passaggio «Davanzo». Tutta questa parte della cavità era indubbiamente accessibile durante il neolitico: infatti la presenza di più vasi lo conferma.
Siamo così nel mezzo del passaggio «Davanzo» che a sud si ricongiunge dopo appena 30 m., attraverso una serie di passaggi e strettoie, con il corridoio trasversale che trovasi tra il primo Cavernone e quello del Guano.
A nord invece si ricongiunge all'altro complesso cavernicolo detto «Scaloria».
Il percorso totale fino a questo punto è di 400 m. e oltre.
Il paesaggio è quello tipico della «Scaloria». L'imponente volta, in buona parte del passaggio, poggia e trova sostegno su solenni stalagmiti.
Queste sotto l’ingente peso si sono sfaldate e spezzate. Il tutto è sospeso a 50 cm. da terra. Si prova a causa di ciò un senso di smarrimento e di paura.
Una volta così fatta e a pochi centimetri dal viso dà il senso della morte.
Da quota - 31 si passa nel breve spazio di 25 m. a quota - 25, punto in cui «Occhiopinto» finisce e prende il nome «Scaloria».
Da un esame approfondito si è constatato che in tutta la zona del passaggio «Davanzo» si è avuto un più accentuato abbassamento tettonico.
Tale abbassamento si può calcolare in media sui 70-80 cm. e forse più.
Il paesaggio esterno della zona in questione presenta infatti una più accentuata depressione; il che convalida la nostra ipotesi.
La Grotta Scaloria non è aperta al pubblico.
Estratto da Atti del convegno storico – archeologico del Gargano 8 - 9 – 10 novembre 1970

 

La chiesa di Santa Maria Maggiore di Siponto

E uno dei cardini dell'arte pugliese del periodo romanico.
Monumento unico per l'architettura, è di primaria importanza per la storia dell’arte medievale italiana.
Ha forma di cubo sormontato al centro da una piccola cupola con una cripta accessibile solo dall'esterno.
Il complesso è costituito da quadrati iscritti l'uno nell'altro e distinti da colonne di granito nella cripta, di marmo nella chiesa alta a sostegno di svelti archi ogivali.

La prima fase costruttiva risale alla fine dell’XI – inizio del XII secolo. Interventi di sistemazione della muratura esterna risalgono agli anni a cavallo tra la fine del XII e i primi del XIII secolo.
Pregevole è il portale che si apre sulla fronte ovest fra colonne impostate su due leoni che reggono le mensolette per l'archivolto.
Su ciascun lato vi sono due arcate cieche su colonne racchiudenti rombi, due in alto, a cornici digradanti, quattro minori in basso col fondo a intagli.
Arcate e rombi decorano il fianco destro al cui centro si apre un abside semicircolare con tre arcate cieche su pilastrini a scacchi.
Nella parte posteriore si nota un'abside, resti di arcate e tre monofore.
L’interno è a pianta quadrata. Al centro quattro pilastri che reggono quattro colonne sulle quali è impostata la cupola, sormontata da una lanterna ad otto archetti.
Un ambulacro gira intorno e conserva su tre lati l'originaria decorazione ad arcate cieche.
Si segnala il sarcofago marmoreo con riquadri con motivi, vegetali e croci greche datato XI secolo d C.
Tratto da: Siponto Antica luglio 1999.

 

L'area degli scavi adiacenti la chiesa

Il ritrovamento di un pilastrino con una dedica a Diana, avvenuto nel 1875, fu per molto tempo la base della tradizione dell'esistenza in questo luogo di un tempio dedicato alla dea.
Gli scavi archeologici degli anni '30 e '50 hanno sfatato questa ipotesi, mettendo alla luce i resti di una basilica paleocristiana e di muri in opera quadrata, in opera reticolata, oltre ad un lembo di mosaico di prima età imperiale decorato con un motivo a crocette.

La basilica paleocristiana fu edificata nel IV secolo d.C.: il suo impianto, a tre navate con abside, e pregiati mosaici, fu ristrutturato nel V secolo forse ad opera del Vescovo Lorenzo Maiorano, cugino - secondo le fonti - dell'imperatore di Bisanzio, Zenone.
Pregiate pavimentazioni a mosaico relative a ciascuna delle due fasi sono visibili in situ e all'interno della chiesa di santa Maria Maggiore.

 

Le mura di Siponto

Lunghe circa 3 chilometri furono edificate nell'età della colonia e perimetravano l'impianto quasi trapezoidale della città. A doppia cortina con riempimento interno erano costruite in opera quadrata con blocchi di tufo estratti dalle vicine cave disposti a filari alternati di testa e di taglio, l'inferiore esterno a bugnato.

Il lato nord orientale della cinta muraria, esplorato negli anni '60, era intervallato da torri quadrate, non perfettamente regolari e non equidistanti.
Conobbero numerosi rifacimenti durante l'età romana e tardoantica quando la parte del lato nord orientale fu smontata per costruire magazzini prossimi al porto.
Si segnala il tratto portato alla luce nel corso degli scavi degli anni '60, visibile presso la strada statale in corrispondenza della colonna isolata, ed una torre sullo stesso lato.

 

L'area del porto

Di grande importanza fu il porto di Siponto, tanto che già intorno al 100 a.C. Artemidoro di Efeso descriveva le transazioni di cereali che qui si svolgevano.
Questo ruolo commerciale Siponto lo conservò in età tardoantica e medievale, quando sono attestate in particolare relazioni con Costantinopoli e con Salona, sull'opposta sponda adriatica.

Del porto lagunare, oggi totalmente interrato, in corrispondenza di uno dei numerosi attracchi si conoscono strutture murarie disposte a formare un rettangolo allungato con una stretta imboccatura finalizzata all'afflusso e deflusso delle acque.
Lungo lo stesso lato della città, verso il mare, sgorgavano sorgenti d'acqua, alcune ancora attive, una detta fonte Manzini, l'altra convogliata in età romana in una grande cisterna monumentale con volta a botte.

 

Icona di Santa Maria di Siponto

La leggenda vuole che l'icona sia venuta dall'Oriente.
Nel Codice Diplomatico delle Tremiti vi è un documento secondo il quale, nel dicembre del 1068, l'Arcivescovo Gerardo, per una concessione fatta all’Abate di Tremiti, ricevette in cambio un'icona bizantina.

I monaci Tremitesi sostiene mons. Vailati, avevano un'officina d'arte dove producevano vesti, oggetti preziosi, icone, e forse copiarono qualche prototipo venuto dal vicino Oriente.
Gli storici pensano, però, a una datazione successiva.

 

La Statua della Sipontina

Un tempo si trovava nella cripta della Basilica di Santa Maria Maggiore a Siponto, ora ha trovato adeguata sistemazione in Cattedrale.

E' un'antica statua, che rappresenta a grandezza quasi naturale la Madonna col bambino, in posizione frontale.
E' chiamata Madonna dagli occhi sbarrati, perché, dice la leggenda, costretta ad assistere ad un atto di violenza. Viene datata intorno al VI secolo.

 

I villaggi neolitici della foce del fiume Candelaro

I villaggi neolitici del Tavoliere, individuati durante l'ultima guerra mondiale attraverso l'areofotografia, rivelano caratteristiche comuni quali i fossati di recinzione posti all'esterno degli abitati ed altri recinti minori detti "compounds" scavati al loro interno ad indicare zone destinate a particolari funzioni (spazi abitativi).
I villaggi del Candelaro hanno restituito una grande quantità di ceramica impressa e selce: la prima riferibile a contenitori di uso domestico, la seconda utilizzata per realizzare strumenti da lavoro quali falcetti, asce, lamelle ecc.
Non mancano pero rammenti di ceramica figulina dipinta pertinenti, probabilmente, ad oggetti di uso cultuale e ossidiana proveniente dalle Eolie che attesta i rapporti commerciali delle genti neolitiche.

Coppa Nevigata

Coppa Nevigata è uno dei siti più noti della preistoria italiana.
La sua importanza, oltre che per i livelli neolitici, è rappresentata dalla completezza delle sequenze dell'età del bronzo.

L'abitato, ubicato sulla riva sinistra del Candelaro, sfrutta, ai tempi dell'occupazione neolitica, risorse di laguna e di pianura oltre che prodotti legati alla pratica dell'agricoltura.
Attestano queste attività ritrovamenti di macine, macinini e frammenti di ceramica riferibili a contenitori decorati ad impressione.
Importante era la produzione di piccolissimi oggetti in selce ritrovati in gran quantità e messi in relazione all'apertura dei molluschi.
Al momentaneo abbandono del villaggio, avvenuto probabilmente nella fase finale del neolitico (fine IV millennio a.C.), segue la ripresa dell'occupazione all'inizio del secondo millennio, nell'età del bronzo.
In questo periodo l'economia continua a fondarsi sull'agricoltura e sull'allevamento, anche se l'ubicazione perilagunare favorisce notevolmente le attività di scambio, in particolare con il mondo egeo, come testimoniano i numerosi frammenti ceramici di tipo miceneo ritrovati nei livelli più recenti.

Ipogei Capparelli

Di Siponto si considera la necropoli rupestre in località Capparelli, posta sull'antica via che conduceva ad Arpi.
In quest'area, di alcuni ettari, l'esimio archeologo Silvio Ferri riconosceva la Siponto grotticola, malgrado le numerose trasformazioni subite nel tempo.
In parte nascosti da cespugli di more e di fichi d'india, si possono ancora rintracciare una decina di ipogei; alcuni sono stati distrutti per consentire la costruzione della statale 89 per Foggia, altri sono ancora interrati.

Di essi sono stati esplorati cinque.
Gli ingressi, ad eccezione di uno, sono stati rimaneggiati od ampliati.
Sul frontale roccioso di un ipogeo è stata individuata una croce in rilievo, finora non registrata da alcuno.
Gli interni presentano un'unica tipologia: vasti ambienti costituiti da un largo ambulacro centrale e due laterali, divisi da grossi pilastri di roccia su alcuni dei quali sono visibili delle nicchiette poggia-lucerne.
Gli arcosoli che si susseguono lungo tutte le pareti, hanno il profilo interno ribassato o trapezoidale e presentano tombe biloculate o anche polisome; non mancano pure tombe terragne.
Si evidenzia come nel tempo ci siano state molte distruzioni ed adattamenti: prima per cavarne tufi, facendo abbassare il livello dei piano originario di più metri; poi per adattarsi a depositi di paglia, a ricoveri per uomini e animali; infine utilizzati alcuni anche a discarica abusiva.

Santa Restituta

E' una zona agricola del territorio di Manfredonia, posta lungo la statale che porta a San Giovanni Rotondo.

E' conosciuta come una nota località storica dove si riunivano i Carbonari sipontini sotto la guida di Gian Tommaso Giordani, ma è anche un sito molto interessante per la presenza di ipogei e di un avamposto cartaginese (da valorizzare).

 

Eremi di Pulsano

San Giovanni da Matera
Non pochi erano i monaci pulsanensi che si consacrarono a una stretta vita eremitica isolandosi in speciali celle naturali o ricavate nella roccia su abissi paurosi delle vicine valli.

Non a caso, infatti, una di queste, prescelta da molti monaci per le sue asperità ed inaccessibilità, ha assunto il nome, ancora oggi conservato, di valle dei Romiti.
L'eremo di San Giovanni da Matera, il cui interno è totalmente spoglio, presenta un ingresso arcuato intonacato sul quale, in una cornice moresca, si può vedere l'affresco di una Madonna col Bambino tra una figura angelica e un religioso inginocchiato con corona in mano.
E' da notare, inoltre, una croce graffita sul frontale.

La Rondinella
Di fronte all'eremo di San Nicola si scorge sul soprastante, impressionante, vertiginoso ciglio roccioso, una cella che per la sua posizione, simile a quella che assumono le rondini allorché devono spiccare il volo, è detta "della Rondinella".

Essa è costituita prevalentemente in muratura, di cui sono ancora in piedi alcune strutture portanti, mentre la parte scavata nella roccia è di dimensioni ridotte - un solo vano - ove è possibile notare qualche giacitoio.

Il Pinnacolo
Sullo stesso versante, ad altezza considerevole e in posizione di difficilissimo accesso, è situato l'eremo detto "il Pinnacolo".
All'interno di esso si trova un altare ornato di alcuni affreschi, di cui sono ancora visibili la figura dell'Immacolata, a destra, e, alla volta, una colomba, simbolo dello Spirito Santo.
Da un'iscrizione posta alla destra dello altare si rileva che gli elementi di affreschi riscontrabili si riferiscono a una immagine di San Giovanni Battista.

Il Mulino
Su uno strapiombo, di fronte alla “Rondinella”, si trova un grande complesso che, da una macina ricavata nella roccia all'interno di una cella, è detto "il Mulino".

Le notevoli dimensioni della parte in muratura, di cui sono ancora in piedi i muri perimetrali, formano, con i molteplici ambienti ricavati nella roccia, un'unica struttura e fanno pensare a un centro economico a servizio della comunità pulsanense.

Lo Studio
Non molto distante da quest'ultimo è inserita nella suggestiva e caratteristica morfologia dei luogo la grande cella denominata "lo Studio".
Ad essa, che in parte è in muratura, si accede attraverso una lunga, stretta e pericolosa scalinata cavata pazientemente sul fianco della roccia.

L'interno, di più vani, presenta alcuni affreschi: in uno, sulla volta forata da un lucernario, è raffigurata una serie di teste alate di angeli; in un altro, sulle pareti, è raffigurato un santo eremita in ginocchio con coroncina nelle mani in atto di preghiera mentre dall'alto sopraggiunge un corvo per offrirgli del cibo (questa simbologia è tipica di rappresentazioni di santi eremiti nel Medioevo); di lato è rappresentata la Pietà, di cui restano il Cristo morto sulle ginocchia della Madre, qualche particolare di questa e la parte superiore della Croce; infine, altri due affreschi rappresentano uno probabilmente Sant’Antonio Abate, in figura intera, anche se la parte inferiore non è più leggibile; l'altro Sant’Antonio da Padova col Bambino in braccio, in discreto stato di conservazione.

San Nicola
L'eremo di San Nicola, di più vani, tra muratura e ambiente naturale, è situato, come gli altri, all'interno delle balze rocciose della valle.
Questo ha due ingressi aperti totalmente nella roccia; sullo stipite di destra di uno di essi è scolpita in negativo una grossa croce patente con al centro un'altra più piccola.
Sulle pareti dell'interno, affrescate in buona parte, si può osservare un santo, una Annunciazione, un Crocifisso con religiosi in preghiera, di cui un frate benedettino inginocchiato e un vescovo con paramenti solenni.
Lo stato di conservazione degli affreschi è ancora discreto, anche se segni vari e firme apposte in epoca relativamente recente - 1800 - li hanno in parte deturpati.
Si fa notare che alcune firme sono di nomi chiaramente non comuni alla zona e dimostrerebbero come l'eremo sia stato frequentato con una certa assiduità, in virtù del fatto che l'Abbazia di Pulsano costituiva meta di pellegrinaggio.

Conclusioni
Questi complessi ora abbandonati, ridotti a ruderi, adibiti nel tempo a vari usi, sono stati in parte sconvolti nella loro originalità dall'intervento irrazionale dell'uomo, inconsapevole di cancellare una parte importante di storia e di cultura della propria terra.
Se da una considerazione immediata emerge che un danno incalcolabile e permanente ormai l'ignoranza l'ha determinato, da una riflessione più attenta si è portati a concludere che non tutto può essere considerato perduto, che molto si può e si deve fare, per intendere come la civiltà non è oblio del passato, ma somma di esperienze umane, storiche, artistiche e culturali senza soluzione di continuità.
Tratto da: La Civiltà Rupestre 1991