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La visita pastorale di G. F. De Laurentiis

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Caratteristiche

Illustrazione d'epoca dell'AbbaziaMediante le visite pastorali si cercava di raggiungere uno scopo fondamentale: accertare la moralità e la religiosità del clero.

 

Infatti, dall'esame delle relazioni, risulta che, quando era annunciato l'arrivo del vescovo, il quale era sempre accompagnato dal vicario generale in qualità di presidente del tribunale inquisitorio, si faceva obbligo agli ecclesiastici di non allontanarsi per nessun motivo, senza autorizzazione, dalla propria residenza, fino a che non si fosse conclusa la visita.

Per i trasgressori era prevista una multa di 25 once d’oro.

Riguardo alle modalità delle visite, è probabile che operassero due gruppi distinti: uno, diretto dal vescovo, controllava le condizioni in cui si trovavano le chiese, lo stato di conservazione degli arredi sacri, i sistemi di riscossione e amministrazione delle rendite; inoltre, indagava sull'attività pastorale dei religiosi e sulla formazione spirituale e culturale dei sacerdoti.

Il secondo gruppo, invece, guidato dal vicario generale, costituiva il tribunale inquisitorio che interrogava i testimoni, sul cui criterio di scelta nulla, purtroppo, si conosce. Comunque, quando i giudici si imbattevano in qualche religioso che non avesse osservato le disposizioni dei sinodo, o si fosse macchiato di qualche reato, allora approfondivano l'indagine per poterlo incriminare ed iniziare il processo istruttorio.

I processi, tuttavia, quasi sempre si risolvevano con una transazione amichevole, richiesta dall'imputato, oppure con la sua condanna a pene molto lievi.

Per quanto riguarda, invece, l'attività del vescovo, si è già detto che un elemento comune a tutte le visite pastorali erano le indicazioni riguardanti i fattori puramente materiali, come l'alloggio ed il vestiario del clero e l'arredamento delle sacrestie.

Il visitatore, infatti, quando compiva la propria ispezione, controllava, innanzi tutto, gli edifici della chiesa e delle case canoniche e, qualora non esistevano o risultavano inabitabili, ne ordinava la costruzione o il restauro perché il «rector ecclesiae» potesse risiedervi. Insieme agli edifici delle chiese e dei monasteri erano sempre meta dell'ispezione vescovile gli « Ospitali » per i quali nelle visite pastorali si trovano notizie più precise ed accurate che non per gli altri edifici.

Passando ora ad esaminare le caratteristiche della visita del vescovo de Laurentiis, è opportuno precisare, innanzi tutto, che essa osserva soltanto in parte le consuetudini, sopra indicate, delle altre visite pastorali, perché dalla relazione risulta chiaramente che a San Leonardo e Torre Alemanna il prelato si limitò soltanto ad ispezionare gli edifici, controllare gli arredi sacri ed accertare le modalità di riscossione ed amministrazione delle rendite, senza provvedere a istituire alcun tribunale inquisitorio che indagasse sulla moralità e correttezza dei frati minori del monastero.

In effetti, l'intestazione del manoscritto « Visita dell'Abbatia (…) tanto nello Spirituale, quanto nel temporale...», indurrebbe a presupporre anche un'accurata indagine sull'opera pastorale dei sacerdoti; invece, di «spirituale» c'è molto poco nella relazione, in quanto solo in due occasioni, nel corso di tutta la visita, il vescovo accennò all’impegno pastorale dei religiosi.

Lo scopo vero della visita del de Laurentiis non era « spirituale » , bensì esclusivamente «temporale»: controllare l'entità dei beni del cardinale Barberini ed accertarne le rendite.

L'itinerario della visita è facilmente ricostruibile attraverso le indicazioni fornite dal manoscritto. Il punto di partenza del de Laurentiis fu Roma, dove si era recato presso il cardinale Barberini, per ricevere una lista delle proprietà da ispezionare.

Successivamente il vescovo giunse, ai primi di maggio, a Foggia, dove ispezionò le proprietà abbaziali che si trovavano dentro la città ed intorno ad essa; di qui si spostò a San Leonardo e poi, il 22 maggio, a Torre Alemanna, per concludere infine, il 5 giugno, suo giro di ispezione a Santa Maria di Banzi, in Basilicata. Nella relazione il vescovo illustrò con grande precisione le masserie ed i terreni visitati non solo allegandone i disegni, ma precisandone anche l'ubicazione ed indicandone l'estensione, la presenza nel territorio di fiumi o bacini, la natura del terreno e la destinazione a coltura oppure a pascolo. Nel suo giro si avvaleva della collaborazione di due agenti del cardinale: Celestino de Angelis, procuratore nella abbazia di San Leonardo, e Michel'Angelo Honofrij, procuratore in Santa Maria di Banzi.

A costoro chiedeva informazioni minuziose sullo sfruttamento dei terreni, sulla manutenzione degli edifici, sugli allevamenti di ovini, suini ed equini e sull’amministrazione dei fitti percepiti da terreni e masserie. Di ogni proprietà visitata, inoltre, confrontava la situazione economica personalmente riscontrata con quella descritta in un inventario del 1636, detto « Catasto nuovo », in un libro mastro coevo delle proprietà abbaziali redatto da un certo Borri e con quella, più recente, esposta nella relazione di un'altra visita, effettuata da un non meglio identificato vescovo Saulini.

Era, perciò, facile per il de Laurentiis controllare se la gestione dei due procuratori era stata diligente oppure trascurata. Nel corso dell'ispezione numerose osservazioni mosse il vescovo al procuratore de Angelis, a causa delle cattive condizioni in cui erano stati tenuti gli edifici, ed in particolare la chiesa, che presentava notevoli danni al tetto ed alla facciata per i quali ordinò immediatamente restauri; quando passò nella sacrestia, esaminò uno per uno gli arredi sacri e ne fece un accurato elenco.

Poi visitò il monastero, che giudicò dissestato e bisognoso di sollecite riparazioni, perché la torre era quasi totalmente priva di tetto e minacciava di crollare sugli edifici sottostanti. L'ultima costruzione che ispezionò fu l'Ospedale, le condizioni dei quale sia all'esterno che all'interno lo lasciarono soddisfatto.

Accanto alle costruzioni ecclesiastiche c'erano un macinatoio di grano ed un forno, che il de Laurentiis consigliò di non affittare più ad estranei, dopo l'ultima negativa esperienza l’affittuario, infatti, era fuggito senza corrispondere l’affitto, e suggerì, pertanto, di farlo gestire da un dipendente dell'abbazia.

Dispose, inoltre, di effettuare lavori di restauro anche nella taverna, che si trovava entro le mura di cinta abbaziali, specialmente al tavolato del soffitto, perché la paglia, che vistava depositata, cadeva sulle tavole della sala da pranzo e, in particolar modo insistette che si provvedesse a coprire un pozzo contenente acqua putrida, che con il suo fetore infastidiva gli avventori.

A Torre Alemanna il de Laurentiis ordinò di provvedere in particolare all'edificio della torre, perché si trovava in precarie condizioni; questo, comunque, fu il suo unico rilievo negativo, perché, per il resto, rimase soddisfatto sia delle riparazioni già eseguite, sia delle condizioni in cui erano state tenute chiesa e sacrestia.

Quando ispezionò la taverna che si trovava entro le mura di cinta di Torre Alemanna, consigliò di costruire accanto ad essa un edificio che potesse ospitare durante la notte gli avventori, i quali, sino ad allora, erano sempre andati a pernottare nella masseria di Lagnano.

Allorché passò ad esaminare l'amministrazione dei beni; il vescovo si mostrò scontento del procuratore de Angelis perché nell'archivio di Torre Alemanna aveva trovato mancante una platea dell'anno 1552, che il de Angelis avrebbe dovuto avere in consegna.

Non accettò le sue giustificazioni; gli impose, invece, di recuperare il documento insieme ad altri che pure per sua incuria erano andati smarriti.

Altro grave difetto che il vescovo riscontrò nell'amministrazione del procuratore de Angelis fu il suo sistema di riscossione delle rendite, per le quali non teneva alcun serio controllo, cosicché molte di esse non erano state percepite, con grave perdita economica; anzi, durante il controllo delle rendite appurò anche che per negligenza del, procuratore de Angeliis San Leonardo aveva sino ad allora riscosso dalla grancia di Santa Maria di Mornetere in Taranto il pagamento di una tassa che invece spettava all'abbazia di Banzi, come era stato già stabilito nel corso della visita del vescovo Saulini.

Esaurito ogni controllo per i possedimenti di San Leonardo e Torre Alemanna, il vescovo si spostò in Basilicata, per visitare la chiesa di S. Maria di Barizi, i cui beni facevano pure parte della commenda concessa al Barberini.

Purtroppo, per quanto riguarda le proprietà di questa seconda Abbazia la relazione fornisce soltanto poche indicazioni essenziali, che certamente dovevano essere integrate da quelle più accurate riportate in uno dei due elenchi ad essa allegati, che sono andati persi. La chiesa, comunque, sorgeva con altri due edifici - il vecchio e il nuovo convento dei frati francescani – in un bosco esteso circa 30 miglia.

In seguito alla costruzione di una nuova sede per ospitare i religiosi, l'edificio dei vecchio monastero era stato utilizzato per accogliere le famiglie dei coloni dell'abbazia, in tutto 260 persone - 98 capi famiglia, 70 donne maritate, 48 nubili e 44 celibi. Il vescovo ispezionò le camere e le trovò in pessime condizioni; perciò, sollecitò il procuratore Honofrij di provvedere ai restauri necessari, per evitare danni maggiori e per conservare la rendita di 200 scudi annui.

Apparteneva, ancora, all'abbazia una vecchia masseria abbandonata, poco lontana dal bosco, che con approvazione del vescovo il procuratore Honofrij aveva fatto restaurare ed adibire a macinatoio di grano e forno, successivamente affittati per 40 scudi l'anno; in questo luogo, comunque, il vescovo non si soffermò molto, mentre condusse una più accurata ispezione in un'altra masseria, dove si praticava l'allevamento dei suini, dei quali compilò in data 5 giugno 1693 un accurato inventario, da cui si apprende che la chiesa di Banzi ne possedeva 2.209.

La visita a S. Maria, infine, si concluse con l'ispezione agli edifici della chiesa ed agli arredi sacri della sacrestia, le cui condizioni il vescovo ritenne soddisfacenti e parole di compiacimento ebbe ancora sia per il procedere dei lavori al convento che accoglieva venti frati, sia per l'attività della scuola di Filosofia e Teologia che la chiesa ospitava.

Illustrazione e trascrizione del manoscritto di una "visita pastorale" di fine secolo XVII conservato nella Biblioteca Provinciale di Foggia - Antonio Ventura