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Il fitto di case e taverne

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I contratti

Il patrimonio di San Leonardo non consisteva soltanto in fondi rustici, ma comprendeva altre proprietà come case e taverne, concesse in fitto a privati.

Entro la cinta delle mura di Foggia, in contrada dei Morticelli, l'abbazia possedeva una casa che in precedenza era stata sempre affittata per ducati 60 l’anno; successivamente era stata messa a disposizione dei procuratori che curavano gli interessi di San Leonardo presso la Dogana delle Pecore.

Dalla descrizione del manoscritto si può avere una idea delle abitazioni foggiane nel secolo XVII: non molto alte, raggiungevano al massimo i due piani; al pianterreno c'erano una o due stanze abbastanza ampie adibite a stalle e depositi, mentre attraverso una scala esterna, che poteva essere in pietra o in marmo, si saliva al piani superiori dove si trovavano le camere da letto; l'andito che immetteva nell'appartamento era spesso all'aperto.

A fianco delle stanze poteva esserci una terrazza; il pavimento delle stanze, come quello delle terrazze, era quasi sempre a terreno battuto; il tetto, invece, poteva essere a lapillo battuto oppure a tegole. Infine, all'interno della costruzione c'era il cortile, al centro del quale si trovava il pozzo da cui attingere l'acqua necessaria alla vita quotidiana.

Fuori delle mura cittadine l'abbazia possedeva nel piano delle fosse, nel tratto compreso tra la Basilica di San Giovanni Battista e la chiesa di S. Rocco, sei fosse di grano affittate per un totale di ducati 50 l'anno.

Gli affittuari erano rappresentanti di famiglie ricche ed illustri, come ad esempio Domenico della Posta, che aveva in fitto anche le tufare di Santa Tecchia, e Antonio Calabria. Oltre questi beni, l'abbazia non possedeva alcun'altra proprietà in Foggia.

Disponeva, invece, nel perimetro delle mura della chiesa di San Leonardo, di un forno e di una taverna, affittata per ducati 91 l'anno; un'altra taverna ed un forno in Torre Alemanna annualmente fruttavano ducati 816.

Il fitto complessivo di queste proprietà ammontava a ducati 957, che, sommati ai ducati 12.278 rendita calcolata dei fondi rustici, danno l'ammontare dei frutti annui della commenda in 13.235 ducati netti. Questa somma - si è già detto - non costituisce il valore preciso di tutti i beni abbaziali, la rendita dei quali doveva essere senz'altro superiore ai 13.235 ducati, che rappresentano soltanto il frutto, approssimativo per difetto, delle proprietà elencate nei manoscritto.

Le entrate dell'abbazia spettavano esclusivamente all'abate, che in qualità di rettore del monastero e titolare della commenda aveva il diritto di amministrare e godere le rendite del patrimonio di San Leonardo.

I contratti più usuali, che garantivano l'abate nei riguardi dei fittavoli, erano quelli di livello ad annuo censo di durata solitamente triennale, come nel caso della taverna di Torre Alemanna e delle tufare di Santa Tecchia, dove a carico dell'affittuario c'era anche l'obbligo di apportare migliorie alla proprietà presa in fitto; oppure di durata annuale, come per la masseria della Gavita.

Da una sola proprietà dell'abbazia era previsto il pagamento in natura, il territorio del Macerone: «Il Macerone dicono che anticamente fosse Vigne date in enfiteusi agl'huomini di Manfredonia, e San Giovanni Rotonno e che poi disertate sian ritornati i fondi in potere della Menza Abbaziale (…). Tutto si semina dai Cittadini di Manfredonia e San Giovanni Rotonno, e del seminato ne pagano per ogni versura un terzo solamente per il Jus che dicono d'havervi. Nell'anno corrente era in buona parte seminato, mà per la gran siccità che corre, li Massari ne hanno fatto la renunzia in mano del P. Abbate de Angelis».

Il pagamento avveniva una volta all'anno; nel manoscritto non viene indicata alcuna data precisa, ma è logico ritenere che quello in natura avvenisse nel periodo del raccolto, cioè dal 29 giugno, San Pietro, al 9 agosto, San Salvatore, o dal 15 agosto, Santa Maria; oppure durante la vendemmia, dal 12 settembre, il nome di Maria, al 1° novembre, tutti i Santi; anche il pagamento in denaro cadeva in quei periodi, quando il contadino aveva maggiori disponibilità finanziarie: i giorni di pagamento venivano scelti tra le festività religiose soprattutto per non impegnare altrimenti i giorni lavorativi.

Illustrazione e trascrizione del manoscritto di una "visita pastorale" di fine secolo XVII conservato nella Biblioteca Provinciale di Foggia - Antonio Ventura